A cosa servono le parole? Qual è il loro rapporto con le idee; e dove nascono, come lievitano per farsi ponte di pensieri e sentimenti? Servono a lenire gli affanni, le ferite delle nostre vite? e davvero, per chi le produce, non hanno un “costo”?
Giuliano Baglioni, dopo aver composto per anni con le immagini della sua pittura, con gli oggetti del suo laboratorio il puzzle del tutto originale di una sua poetica intrigante creatività, esplora ora per la prima volta, con questo piccolo testo, lo straordinario potere delle parole: non estranea, al loro stupito manifestarsi, la fenditura tracciata dai cinquant’anni di ogni vita. Ne scopre il bisogno nello scarto e nella distanza, in quella pausa dall’incalzare impietoso del vivere di cui diventa metafora esistenziale, ma anche complice reale, la pesca: il tempo per sé, l’attesa dell’esca, l’osservazione minuziosa che si fa dono. Come quei sassi di Paglia – Paglia fiume/paglia inconsistente – così naturalmente splendidi da far sfigurare qualunque pittore astratto, così lievi da poter diventare letto per le anime.
Ed è su quel letto di paglia che senza troppo forzare la strada, lasciando che come sassi di fiume dolcemente le parole si assestino, ne costruisce il solido irrompere. Ne coniuga il potere creativo e quello affettivo.
Cosa sono mai le parole? pronunciarle sembra così facile… parole ali, parole balsamo, parole salvifiche che, sebbene non costino nulla, in una società che di parole fa un uso finanche smodato, pure siamo restii o impediti a pronunciare. Ma anche parole pietra, parole crude, parole nude che, per soffrire meno, scansiamo ogni giorno con mistificazioni pietose o banali.
Perché per la parola amore, come per la parola verità, l’unico prezzo – e non è poco – è quello della scarna assunzione di realtà, quello di un primitivo coraggio. Quel coraggio che può estrarre le parole non dette, che fanno bene, che ricompongono le salme; quello che sa riconoscere le parole laceranti – nude – che ti mostrano l’angoscia dei tuoi figli, che ti fanno fare i conti con la tua impotenza ad alleviarla.
Non poesie, non racconti, solo appunti di percorso – così l’autore li definisce – questi “sassi di paglia”, senza rinunciare all’immagine, vi interferiscono con l’epifania della parola ritrovata: tecnica non nuova per l’autore, che di enigmatici motti ha talvolta disseminato i suoi quadri, ma mai con tanta compiuta abbondanza. In questo suo lavoro, che per scelta e originalità sembra aprire una diversa stagione creativa, Giuliano Baglioni sposta il tiro verso nuovi percorsi crossmediali. Con felice naturalismo accantona il pennello per la semplice documentazione fotografica del meraviglioso manifestarsi di quello che definisce l’astrattismo di Dio, traccia un testo monologante, ne fa un ponte per l’amato teatro. Leviga la crosta del cuore, dei cuori, con l’umile affidamento alla pietas e alle carezze del tempo. Perché il tempo assesti piano i sassi della vita, li sospinga dolcemente, li accomodi sul letto dove il fiume scorre; trovi a ognuno, nel suo singolare splendore, il giusto posto.
Laura Ricci